Haters

Haters | Psicologo Antonio Albanesi

La psicologia degli haters

Aggressioni elettroniche: cosa sono?

Al giorno d’oggi sono state identificate due forme principali di aggressione elettronica che si distinguono per la presenza o l’assenza di una o più vittime specifiche. Nel primo caso, in cui le aggressioni sono rivolte a una persona o a una minoranza, si tratta di molestie online, atte a ferire le
vittime prescelte. All’interno di questa categoria, la forma più diffusa di aggressione è il
cyberbullismo, un comportamento aggressivo, ripetuto e sistematico, rivolto a una persona specifica
e perpetrato tramite gli strumentidei nuovi media. Il cyberbullismo è una forma di bullismo a tutti gli
effetti, in cui l’aggressione alla persona o alle persone a cui è diretta avviene attraverso l’uso di
device tecnologici e delle loro funzioni, come instant messaging, commenti online o e-mail. Gli
aspetti più critici di questa forma di bullismo sono la rapidità e la globalità della diffusione su larga
scala: grazie all’utilizzo dei media, i contenuti dell’aggressione sono in grado di arrivare in breve
tempo a un ampio numero di persone, rendendo questa complicata da arginare e da gestire a livello
personale. Tuttavia, il web è stato protagonista della rapidissima diffusione di una seconda forma di
aggressione elettronica che, al contrario, è priva di una vittima designata. Rientrano in questa
categoria i cosiddetti “haters” o “troll”, ovvero persone che sfruttano il mondo online per
connettersi in modo anonimo e scrivere commenti crudeli e brutali apparentemente senza uno
scopo preciso se non quello di creare scompiglio e ottenere reazioni da altri utenti. Secondo uno
studio condotto nel 2016 da Vox – Osservatorio Italiano sui Diritti e da alcune università italiane, le
categorie su cui è riversato maggiormente l’odio sono le donne, gli omosessuali, i migranti, i
diversamente abili e le persone di religione ebraica. Hardaker (2010), che ha condotto ricerche in
quest’ambito, ha enfatizzato che i contenuti dei messaggi degli haters sono caratterizzati
dall’assenza di obiettivi precisi e critiche costruttive, ma si distinguono appunto per la difficoltà di
individuare una motivazione chiara radicata nel contesto in cui si manifestano.

L’effetto di disinibizione online

All’interno del mondo online, le persone tendono a dire o fare cose in modo più aperto, disinibito e
intenso rispetto a come le direbbero nel contesto di interazioni faccia a faccia. Questo fenomeno è
stato definito effetto di disinibizione online (Suler, 2004). Alla base dell’effetto di disinibizione vi
sarebbe la natura stessa del cyber spazio, caratterizzato da:
• anonimità dissociativa: a differenza della comunicazione diretta, la comunicazione mediata
da uno strumento offre alle persone l’opportunità di sperimentare una separazione e
distinzione delle loro azioni online dal loro abituale stile di vita e dalla loro vera identità.
• invisibilità: il fatto che nel mondo online le persone non possano vedersi l’un l’altra
contribuisce ad aumentare l’effetto di disinibizione dando il coraggio agli utenti di esplorare
luoghi o fare cose che altrimenti non farebbero.
• asincronia: nella comunicazione online manca spesso la sincronia comunicava, e gli scambi
non sono in tempo reale. Il fatto di non dover far fronte alla reazione istantanea dell’altra
persona contribuisce all’effetto di disinibizione. Infatti, se l’utente non ha modo di vedere la
reazione dell’interlocutore e di adattare la propria comunicazione, di conseguenza, può
essere portato a persistere nella strategia comunicava in atto, anche e soprattutto nei casi in
cui questa è lesiva, magari più di quanto inizialmente preventivato.
• immaginazione dissociativa: l’opportunità data dal mondo online di dissociarsi, combinata
alla possibilità di creare un proprio personaggio in parte (o totalmente) immaginario,
amplifica l’effetto di disinibizione, poiché le persone consciamente o inconsciamente
collocano questo personaggio in un altro spazio separato e distinto da quello della vita reale,
uno spazio in cui le conseguenze delle proprie azioni sono concepite (spesso erroneamente)
come meno intense e potenzialmente problematiche.
• minimizzazione dell’autorità: la mancanza di indizi non verbali riduce l’effetto di norme
sociali le quali, nel mondo reale, contribuiscono a regolare il comportamento. Per esempio,
gli utenti non sono portati a riconoscere l’autorità degli altri (di solito comunicata tramite
indici sociali e non verbali, come la postura o l’abbigliamento) e di conseguenza non
regolano il loro comportamento come farebbero se la conversazione si sviluppasse in
contesto non mediato.

Le motivazioni degli haters

Sebbene le classiche annotazioni di Suler aiutino a comprendere il contesto online e come esso
faciliti l’emergenza di comportamenti di solito inammissibili nella comunicazione faccia a faccia,
ancora non ci permettono di fare passi avanti nella comprensione psicologica del fenomeno hater. In
altre parole, la domanda che sorge spontanea è: perché si diventa un hater? In uno studio condotto
da Shachaf e Hara nel 2010 (Shachaf e Hara, 2010), gli autori hanno identificato come giustificazione
dei comportamenti aggressivi esperienze quali la noia, oppure obiettvi come la ricerca di attenzione,
la vendetta, il piacere e il desiderio di fare un danno alla comunità, in relazione alla quale gli haters si
percepiscono come outsider o addirittura come oppositori. Non è da escludere tuttavia che il
comportamento aggressivo online sia anche legato ai tratti di personalità degli haters stessi. In uno
studio online del 2014, Buckels e colleghi (Buckels, Trapnell, e Paulhus, 2014) hanno intervistato
1215 soggetti esaminando i loro profili di personalità e il loro stilee comunicavo su internet. In
generale i ricercatori hanno trovato una correlazione positiva tra i tra di personalità narcisista e
machiavellica, tra psicopatici, personalità antisociale e personalità sadica. In particolare,
l’associazione più forte che è emersa da questo studio è quella tra l’utilizzo di commenti negativi,
distruttivi e i tra di personalità sadica. I comportamenti negativi online verrebbero quindi messi in
atto per il puro piacere di farlo e il fenomeno andrebbe letto come una manifestazione quotidiana
online dei tra sadici che le persone tendono a non esprimere nella vita reale. Coerentemente, dalla
ricerca di Craker e March (2016) risulta che l’outcome principale ricercato dagli haters è la “potenza
sociale negativa” o la sensazione di sentirsi potenti risultante dall’aver arrecato danno ad altri. Il
legame tra comportamenti di trolling e i tratti di personalità cosiddetti “oscuri” (psicopatia,
narcisismo e machiavellismo) emerge anche da altri studi recenti (Lopes e Yu, 2017), i quali
aggiungono però alcuni particolari importanti. Il tratto di psicopatia risulta quello maggiormente
correlato a tali comportamenti, ma allo stesso tempo anche a caratteristiche vittimologiche
specifiche. Diversamente da bulli e cyberbulli, i troll psicopatici, che si focalizzano comunque su un
range relativamente limitato di persone da infastidire, tendono a preferire vittime che percepiscono
come popolari, attraenti, di successo; infatti, persone deboli o impopolari sono più facili da
manipolare per i propri fini (comportamento comune anche al tratto machiavellico), ma non
rappresentano una sfida interessante per gli psicopatici, i quali sono interessa non solo ad attaccare
la vittima ma anche ad umiliarla pubblicamente di fronte ai follower che la apprezzano.

Conclusioni

È dunque necessario tenere in considerazione il fatto che il fenomeno haters presenti due potenziali
risvolti. Da un lato, gran parte dei fenomeni di hating sono ascrivibili al solo contesto on line e
possono essere considerati come sostanzialmente innocui. Possono sì scatenare reazioni negative
negli altri, ma sono pressoché privi di effetti nel “mondo reale” delle relazioni. Per questi casi vale la
strategia riassunta dal noto adagio “don’t feed the troll” in italiano “non dar da mangiare al troll”; se
l’hater viene ignorato, e i destinatari delle offese non rispondono ai suoi attacchi, tende ad annoiarsi
e ad abbandonare il contesto online dove sta cercando di creare confusione. D’altro canto, la
relazione predittiva e correlazionale individuata in letteratura tra questi comportamenti e i tra di
personalità antisociali mette in luce che, in alcuni rari casi, comportamenti insistenti di trolling e
hating possono essere indice di intenzioni dannose, antisociali e fisicamente aggressive che
rispecchiano personalità disturbate e inimicizie intense. Per concludere, un fenomeno come quello
degli haters va ascritto alla complessità dei nuovi media e del mondo che hanno contribuito a creare;
essi sono senz’altro uno dei prodotti delle opportunità offerte dalle nuove tecnologie, e tuttavia,
proprio in quanto tali, nella maggior parte dei casi i comportamenti aggressivi e lesivi dei troll non
vedono la luce al di fuori del contesto mediato da schermi e tastiere. Nei casi in cui, invece, il
comportamento online costituisce effettivamente il riflesso di reali problemi e rischi relazionali, la
radice di questi è da ricercarsi nelle disposizioni caratteriali e morali dei singoli individui,
sostanzialmente indipendente dall’utilizzo delle tecnologie.

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